Per la prima volta, infatti, a 75 anni dalla diaspora degli esuli istriani, fiumani e dalmati, il presidente di uno dei Paesi nati dal dissolvimento della Jugoslavia si è inchinato di fronte alla tragedia delle Foibe.
Con una stretta di mano tra due capi di Stato, ma il gesto molto più intimo del tenersi per mano. Così si sono presentati ieri Sergio Mattarella e Borut Pahor, presidenti delle Repubbliche italiana e slovena: mano nella mano. Prima sulla Foiba di Basovizza, luogo simbolo della ferocia jugoslava sotto la guida del maresciallo Tito, poi nel luogo in cui nel 1930 durante il fascismo furono giustiziati quattro antifascisti sloveni del Tigr, “Organizzazione rivoluzionaria della Venezia Giulia” che all’ epoca si batteva per favorire l annessione delle regioni nord-orientali italiane al futuro regno di Jugoslavia.
Insomma, un incontro di portata storica: per la prima volta, infatti, a 75 anni dalla diaspora degli esuli istriani, fiumani e dalmati, il presidente di uno dei Paesi nati dal dissolvimento della Jugoslavia si è inchinato di fronte alla tragedia delle Foibe. Grande la soddisfazione di Federesuli: «La visita di Pahor a Basovizza è salutata con grande compiacimento da tutto il nostro mondo - dice il presidente Antonio Ballarin - poiché costituisce un riconoscimento esplicito della pulizia etnica perpetrata dall’ ex-Jugoslavia. Tutto questo è frutto di una lenta, ma progressiva metabolizzazione della storia del giovane Stato. La Slovenia dal 1945 è stata teatro di una guerra civile che ha visto disseminare sul suo territorio più di 600 tra cave, grotte, fosse e foibe dove hanno trovato la morte per mano comunista migliaia di vittime, non solo di etnia italiana». Anche Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale, sottolinea il fatto che a Basovizza si sia riconosciuta una tragedia che «non riguardò solo gli italiani, ma decine di migliaia di sloveni e croati, tutti ugualmente vittime del regime comunista. La Slovenia ha sostenuto una guerra di liberazione per affrancarsi dalla Jugoslavia, non è l erede di quel regime. Qui oggi c’ erano due patrie a dialogare, non due nazionalismi». Certo, l’ omaggio ai quattro attentatori del Tigr così come la restituzione, avvenuta sempre ieri a Trieste, della Narodni Dom (Casa del Popolo) alla minoranza slovena della città a cento anni esatti dal rogo dell’ edificio, è stato uno scotto da pagare - rilevano le associazioni degli esuli -, ma il gioco vale la candela: «La Federazione delle nostre associazioni ha maturato da tempo il proprio giudizio storico sia sul controverso rogo del Narodni, sia sull’ esecuzione della sentenza dei quattro nazionalisti sloveni processati per un attentato mortale - conclude Ballarin - e non è intenzionata a cadere in polemiche di retroguardia a cento anni da tali eventi. Il punto chiave è nell’ onore che Pahor e Mattarella hanno espresso per le vittime delle Foibe, è questo gesto che ne segna la cifra». Sulla stessa linea è Tito Lucio Sidari, presidente di Aipi-Lcpe (Libero Comune di Pola in Esilio): «La nostra associazione sente come un proprio vanto la continua ricerca del dialogo con gli attuali abitanti delle nostre terre perdute, allo scopo di salvare quanto di latino, veneto e italiano ancora esiste in esse dopo 73 anni dal nostro esodo di massa. Questa ricerca di dialogo e di salvataggio della nostra cultura, intrapresa da chi nei decenni mi ha preceduto, deve continuare fino a che l ultimo di noi esuli avrà vita e dopo ancora, attraverso i nostri discendenti e altre persone di buona volontà, senza secondi fini». Renzo Codarin, presidente dell Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, sottolinea che «se le altre tappe della giornata hanno dato adito a polemiche a Trieste e in Parlamento, nemmeno oltreconfine la decisione del presidente Pahor di recarsi sulla Foiba è stata esente da critiche. Ma si è compiuta una tappa fondamentale nel percorso di riconoscimento delle reciproche sofferenze». In effetti all’ ingresso di Pahor in piazza Unità d’ Italia una rappresentanza degli sloveni di Trieste ha polemicamente cantato l’ inno non ufficiale nazionalista sloveno: «I nostri quattro eroi del Tigr restano tuttora condannati per terrorismo - spiegano ai microfoni di Tele4 - , prima bisognava pretenderne la riabilitazione». Cucito, sui loro petti, il simbolo triste e anacronistico della stella rossa di Tito, vano tentativo di fermare il futuro e negare i progressi della convivenza civile.
fonte: Avvenire-Bellaspiga